L'Italia occupò nell'aprile-maggio 1912 le isole del mare Egeo appartenenti all'impero ottomano. La sovranità su quel territorio gli fu riconosciuta dalle potenze vincitrici della prima guerra mondiale nel trattato di Losanna del 24 luglio 1923. Agli abitanti fu riconosciuto il diritto di optare tra cittadinanza turca e italiana. Gli ebrei, che costituivano una piccola, secolare, comunità insediatasi pacificamente dopo la cacciata dalla Spagna alla fine del XV° secolo, optarono in maggioranza per la cittadinanza italiana e per l'adozione della lingua e della cultura italiana.
Nel 1938, l'Italia divenne un paese a regime antisemita e estese al Dodecaneso la legge antiebraica fascista, compresa la registrazione coattiva nei libri di stato civile degli ebrei. Nel 1939 furono schedate circa 2.000 persone, quasi tutte residenti nell'isola di Rodi e un piccolo gruppo nell'isola di Kos. Esse furono colpite da leggi di restrizione dei diritti civili e delle libertà individuali: espulsione dalle scuole pubbliche di scolari, studenti e insegnanti, licenziamenti dagli uffici pubblici, vendita forzata delle proprietà eccedenti un certo limite dettato dalla legge, obbligo di apertura degli esercizi commerciali il sabato. Il "Messaggero di Rodi" iniziò a pubblicare gli stessi articoli offensivi e demonizzanti verso gli ebrei che comparivano sulla stampa della madre-patria, importando così una ignominiosa campagna antiebraica, il là fu dato il 5 settembre 1938 con un articolo di fondo dall'eloquente titolo: "All'inferno tutti gli ebrei". Gli ebrei locali, come già quelli italiani, furono ridotti a cittadini di seconda classe.
L'11 settembre del 1943 anche il Dodecaneso fu invaso dalle armate tedesche, come, tre giorni prima la Penisola italiana. Passarono nove mesi prima che l'Ufficio Centrale per la Sicurezza del Reich (RSHA), incaricato di gestire la persecuzione antiebraica in ogni paese occupato, affrontasse la questione degli ebrei locali. I nove mesi intercorsi indussero negli ebrei un letale falso senso di sicurezza.
Il 13 luglio 1944 il comando germanico ordinò agli ebrei di non muoversi dalla città di Rodi e dai villaggi circostanti dove erano sfollati a causa dei bombardamenti navali alleati. Il 18, prescrisse che ogni ebreo maschio al di sopra dei 16 anni dovesse presentarsi al Comando dell'aviazione italiana, nella parte nuova della città, con carte di identità e permessi di lavoro. Dopo aver riunito con l'inganno gli uomini senza lasciarli più uscire, toccò alle donne e ai bambini, che furono invitati a presentarsi entro le 24 ore successive. Il 20 luglio 1944 tutta la comunità si trovava nelle mani tedesche, senza poter uscire dall'improvvisata prigione. Solo una cinquantina di ebrei, di cittadinanza neutrale turca, furono rilasciati dietro richiesta del console turco.
Il 23 luglio l'intera comunità ebraica, tra cui molti bambini e donne gravide, fu fatta uscire a piedi dal Comando dell'aviazione e scendere lungo la via principale, resa deserta da un allarme fatto suonare ad arte, verso il porto commerciale, dove sostavano in attesa tre imbarcazioni da trasporto con le stive aperte dotate di paglia sporcata da escrementi animali per terra e bidoni di acqua nel mezzo. In quel giorno la presenza plurisecolare della comunità ebraica nell'Isola di Rodi ebbe fine.
Le imbarcazioni erano dirette al porto del Pireo. La traversata fu terribile: nessuno poté uscire da sotto coperta per prendere aria, il caldo nelle stive era soffocante, non c'erano servizi sanitari, nessuna possibilità di mantenere l'igiene personale, il malessere prese la maggior parte dei prigionieri. Secondo le testimonianze, una decina di persone morirono nella traversata. Dopo molte ore, le chiatte giunsero all'Isola di Kos dove una quarta si unì alle prime con gli ebrei ivi arrestati. Il terribile viaggio per mare terminò il 31 luglio 1944. I prigionieri furono portati in camion alla prigione di Haidari ad Atene dove vennero selvaggiamente interrogati e palpati alla ricerca di nascondigli corporei di monete o gioielli. Altri morirono durante la permanenza in quella prigione, perché privi di medicinali o perché bastonati a sangue.
Il 3 agosto il gruppo fu nuovamente caricato su carri ferroviari piombati e spedito alla volta del campo di sterminio di Auschwitz, dove arrivò il 16 agosto, e dopo l'immediata selezione furono mandate alle camere a gas più di mille persone.
Il lancinante tragitto Dodecaneso-Auschwitz è rievocato anche nel film "Il viaggio più lungo" di Ruggero Gabbai, scritto da Marcello Pezzetti (Museo della Shoah di Roma) e da Liliana Picciotto (Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea).
In questo sito compaiono tutti gli ebrei del Dodecaneso identificati come deportati, anche se morti durante il viaggio. La ricerca è stata particolarmente difficile a causa delle continue omonimie dei nomi di famiglia e dei nipoti che hanno lo stesso nome dei nonni. Già ne Il libro della memoria, basandoci sull'ottimo elenco di Hizkià Franco, salvatosi fortunosamente in barca alla volta della Turchia, avevamo stilato un secondo elenco, migliorato con le nuove testimonianze raccolte. Ora, con una missione speciale nell'isola, sono state scoperte nuove fonti documentarie che, riportate in Italia, sono state studiate, compulsate e rese inequivocabili grazie al lavoro della collaboratrice del CDEC Alberta Bezzan.
Le persone finora identificate trascinate ad Auschwitz dall'isola di Rodi e dall'isola di Kos, in un folle tragico viaggio di migliaia di chilometri, sono 1815. Della comunità ebraica di Rodi rimarranno vive dopo la deportazione 178 persone. Chiunque abbia precisazioni o nuovi dati da comunicare per aggiornare questo elenco sarà benemerito.